Vincenzo Manes

Intervista a Vincenzo Manes, imprenditore impegnato nel no profit

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“Chi ha avuto tanto, pensi a restituire”

Appello di Manes, boss di Kme e Aeroporto di Firenze: “Sole e cibo non bastano più”
Geraldina Fiechter
FIRENZE

Chissà che intervista sarebbe, quella con Vincenzo Manes, se l'incontro fosse nel suo ufficio di Milano, dove si occupa di alta finanza, dove compra ristruttura e rivende aziende in difficoltà. O in una delle city d'oltreoceano in cui si è formato. E chissà come sarebbe abbottonato- cosa in cui è maestro- se il luogo fosse l'aeroporto di Firenze, di cui è diventato presidente dopo pressanti inviti e in virtù della sua cultura kennedyana, "non chiedere quello che il Paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare per il tuo Paese". L'appuntamento, invece, è in un'oasi
toscana. Non a Firenze, non negli uffici della Kme, ex società metallurgica italiana, per ora l'unica società che si è tenuto dopo averla acquisita dagli Orlando e ristrutturata.
Ma in un piccolo paese sotto l'Abetone, Limestre, il posto dove la sua anima ha chiaramente trovato casa. E' qui che il senso degli affari ha incontrato il senso della vita in questo giovane ma navigato uomo di origine molisana, americano di adozione e toscano prima per caso e poi per scelta. E' qui, nell'ex proprietà Orlando, dove un tempo si producevano metalli e munizioni, che Vincenzo Manes ha dato vita al Dynamo Camp, una struttura per bambini malati gravi. E da qui è inevitabile partire.

Un finanziere che diventa altruista?
No, è puro egoismo. Ho sempre invidiato la capacità di fare un'azienda partendo dal prodotto: per intenderei ammiro Steve Jobs, non i grandi finanzieri. Ma con queste doti si nasce, e io non
credo di essere fra questi. E allora ho provato a fare nel no-profit quello che non ho fatto nel profitto.

Con criteri aziendali?
Mi sono formato in America, dove valgono due principi: per chi ha avuto molto, come me, è naturale restituire. Ma il no profit deve essere gestito in modo imprenditoriale, in modo che duri nel tempo a prescindere da chi comincia. Qui anche la pubblicità, per dire, è studiata come faremmo con un prodotto da lanciare sul mercato.

In Italia invece?
Non ci sono imprenditori del noprofit e la mentalità è quella del botton up, cioè si parte dal basso, dall'associazionismo che discende dalle ideologie, che sia cattolica o comunista, ma è come se un'industria fosse gestita dai sindacati anzichè dall'imprenditore.

Il senso del Dynamo Camp?
Aiutare bambini con gravi patologie a vivere come bambini normali.

Quanti bambini e quanto costa la struttura?
Circa mille bambini l'anno, i costi sono di circa tre milioni di euro.

Da dove vengono i soldi?
Un milione li mettiamo noi, come Kme, gli altri due da aziende e fondazioni.

Il suo personale investimento iniziale?
Circa dieci milioni di euro.

Come hanno reagito, i toscani, a questa mega impresa?
All'inizio è stato molto difficile, c'era diffidenza. Ora molti dei nostri operatori o volontari vengono da questa zona.

Dica la verità: quando ha accettato di fare il presidente dell'aeroporto di Firenze pensava di applicare i suoi criteri manageriali e di farne un'azienda funzionante?
Sì, pensavo questo

E si è trovato in un pantano. L'editore Panerai sostiene che lei è disperato. E' vero?
No, ma sicuramente non sono felice. Diciamo che le mie aspettative sullo sviluppo strategico dell'aeroporto si sono dimostrate molto al di sopra delle difficoltà incontrate.

Nel senso che pensava che di fronte a un obiettivo comune fosse possibile mettere d'accordo i singoli interessi? Che Pisa e Firenze potessero essere sinergiche? Che trasformare l'aerostazione in una struttura dignitosa fosse cosa ovvia?
Appunto, le soluzioni sarebbero quelle di normale buon senso, fatte nell'interesse comune e senza farsi trascinare da eccessi di corporativismo e campanilismo (sia privato che pubblico) che trovo francamente antistorici e a dir poco umilianti.

Ha mai pensato di lasciare?
Certo, ma la responsabilità è una delle cose che ho imparato da bambino: i progetti che si avviano si portano in fondo. Resto fiducioso.

Cos'è per lei la responsabilità pubblica?
E’ fare il possibile per aiutare lo Stato, il bene pubblico. Ogni uomo, anche se non fa politica, è politico. E deve partecipare al meglio.

Farebbe politica attivamente?
No, mi mancherebbe il coraggio di scontentare tutti.

Se la Toscana fosse un'azienda come utilizzerebbe le sue risorse?
Investirei in infrastrutture e servizi, dall'aeroporto alle aree verdi fino alle biblioteche, tutto ciò che fa parte del bene comune. Non basta più il sole e il buon cibo, per far crescere un territorio. Potrebbe diventare l'eccellenza italiana.

La Toscana è prigioniera del suo passato?
Ma anche di una mentalità secondo cui il moderno è brutto. Le faccio un esempio: stiamo progettando un Resort, nella nostra oasi, per finanziare il Dynamo Camp. Abbiamo coinvolto grandissimi architetti per farne edifici all'avanguardia sia dal punto di vista ecologico che estetico. In altri Paesi me lo avrebbero fatto fare di corsa, qui non so se ce la faremo. Sto perdendo le speranze.

Gli amministratori non hanno fiducia nel privato?
Diciamo che c’è un reciproco sospetto fra pubblico e privato, proprio in un momento in cui l'uno è fondamentale per l'altro.

Ecco arriva la domanda che tutti le farebbero: da dove viene la crisi economica in cui ci troviamo? Quante colpe attribuisce al mondo da cui lei proviene, la finanza?
Viene soprattutto dall'incapacità della politica, e non solo in Italia, di fare il suo mestiere, di imporre una visione, delle scelte, senza rincorrere gli andamenti della finanza e delle speculazioni internazionali. Ci si salva se la politica torna a difendere gli interessi collettivi. A problemi creati dagli uomini c’è sempre una soluzione trovata dagli uomini.

L'ESEMPIO DYNAMOCAMP
Aiutiamo bambini con gravi patologie a vivere in modo normale. Il no profit deve essere gestito da chi ha capacità e risorse.

IL REBUS PERETOLA
Disperato? No, ma certo non sono felice. Le mie aspettative di sviluppo si sono dimostrate al di sopra delle difficoltà incontrate